Cosa passa per la testa a tutte le persone che si girano a guardarvi ogni volta che passate loro innanzi con il vostro cinquino? Pensateci attentamente... ammirazione, stupore, ilarità o forse perfino invidia... no, niente di tutto questo. Guardateli bene, pensate ai loro sguardi, soffermatevi sui loro sorrisi: è emozione, ricordo, è come un tuffo nel passato, come aprire il coperchio di una scatola rimasta per troppo tempo chiusa e che conserva avventure, passioni e sogni.
“Ah, mi ricordo quando ce l’avevo io....” questa è la frase più ricorrente di chi, pur non conoscendovi, sente il bisogno di comunicarvi in qualche modo un ricordo o un aneddoto legato a quest’auto che oramai è nel DNA di tutti gli Italiani. Ecco quindi l’idea di raccogliere gli aneddoti più simpatici, quasi un romanzo d’appendice, per riportare tutti noi un po’ indietro nel tempo, ad assaporare le radici di una passione che dura da così tanti anni inalterata nel tempo.
Quella mattina, finalmente, non nevicava più e le Dolomiti erano completamente imbiancate da una coltre bianca che rendeva ovattato ogni rumore. Come di consueto, Paolo doveva affrontare il tragitto che da casa lo portava al lavoro, perciò uscì un po’ prima del solito per aprirsi un varco con il badile e spazzare via dalla sua 500 la neve caduta nella notte. Poveretta! Bianca com’era sembrava che fosse stata inghiottita!
Dopo aver armeggiato per un po’, riuscì ad intrufolarsi nel gelido abitacolo, infilando la chiave nel blocchetto, sollevando prima la levetta dell’aria, poi quella dell’accensione finché il bicilindrico, con un gemito intirizzito, partì.
Cautamente affrontò la strada ancora completamente innevata, poiché nemmeno le catene, montate quasi perennemente nel periodo invernale, sembravano farcela. Il tragitto era quasi tutto in discesa, perciò era necessario solo affrontare le curve con il dovuto rispetto e tutto sarebbe andato per il meglio.
Il paese sonnecchiava, mentre il cielo lattiginoso lasciava intendere che per quel giorno la neve sarebbe caduta ancora.
Una curva, poi un’altra, uno stop, e via di nuovo, prima, seconda e perfino la terza, oramai non mancava molto e c’era da percorrere solo poca strada e quel rettilineo in discesa.
Improvvisamente, per ragioni inspiegabili, Paolo si ritrovò a testa in giù riuscendo a scorgere dal finestrino solo i muri di neve che fiancheggiavano la strada e non più le cime degli abeti imbiancati; l’auto si muoveva velocemente ma lui non riusciva ancora a realizzare cosa fosse successo.
Per la miseria! Aveva cappottato! La 500 non ne voleva sapere di fermarsi e stava viaggiando direttamente sul tetto come un piccolo bob. Non c’era nulla che potesse fare, se non aspettare che la discesa finisse, nella speranza che nessun ostacolo interrompesse bruscamente la sua orsa.
Lentamente il cinquino perse velocità fino a fermarsi proprio sotto casa di un amico che in quel momento stava uscendo per recarsi al lavoro.
Sbigottito, si era fermato ad osservare quell’auto che, invece di correre sulle ruote, correva sul tetto.
Paolo uscì quindi dall’abitacolo quasi con noncuranza, salutò l’amico chiedendogli candidamente di dargli una mano a rigirare la 500. Detto fatto i due riportarono nella posizione originaria la vettura che ripartì senza il minimo problema, ad esclusione dello specchietto interno incrinato dalla testata data dal guidatore.
Oramai era quasi arrivato, cominciava un’altra giornata di lavoro.
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Archidado